Fedele Scarcella non c’è più.

Scrivo un post breve per segnalare cosa scrive Giovanni Pecora (minacciato ben due volte di morte) su Fedele Scarcella, morto massacrato e bruciato.

Era un uomo coraggioso, Fedele Scarcella, duro come le balze dell’Aspromonte dove era nato e cresciuto, ma anche generoso come quel mar Tirreno sulle sponde del quale aveva deciso di creare la sua impresa, a Gioia Tauro.
Duro e generoso, come i migliori calabresi, come i fichi d’India che sono difficili da cogliere e pungenti per chi li conosce solo da fuori, ma dolci più di qualsiasi altro frutto quando si impara a conoscerli dentro.
Fedele Scarcella lavorava sodo, come un mulo, e quando quel giorno entrarono nella sua azienda due “picciotti” del boss di Gioia Tauro per chiedergli conto di una parte dei suoi sudati guadagni, la “mazzetta” o “pizzo” per intenderci, andò su tutte le furie, ma riuscì a mantenersi apparentemente calmo perchè bisognava affrontarli con intelligenza, non con la forza quegli animali.
Senza alzare la voce, con calma, disse loro che quel lavoro era la sua vita, e che per mandarlo avanti aveva rinunciato a tutto: alle ferie, alle auto di lusso, ai bei regali per la moglie… e che quello che aveva lui se l’era sudato lira su lira, tra lacrime, cambiali e tanto, tantissimo lavoro.
Perchè doveva condividere con loro la sua azienda? Perchè non si mettevano anche loro, che erano giovani e forti, a lavorare e a faticare invece di vivere come parassiti alle spalle della povera gente?

Ma i suoi aguzzini non si fecero certo convincere dai suoi ragionamenti, e dopo qualche piccolo “avvertimento” tornarono in azienda per chiedere il saldo della “mazzetta”.
Di solito a questo punto l’imprenditore si piega, magari imprecando in cuor suo ed invocando ogni maledizione sui suoi aguzzini, ma si piega.
Fedele Scarcella invece non si piegò. Prima rinviò con una scusa al giorno dopo gli estortori, poi andò in casa, si tolse gli abiti da lavoro, si mise il vestito buono, ed andò forse dai Carabinieri, o forse dalla Polizia, per denunciare il racket delle estorsioni con nomi e cognomi, senza paura.
Un eroe?
Ma no, un idealista forse.
Un idealista che non ci stava a farsela sotto davanti a quattro vigliacchi che camminavano in Mercedes e vestivano Caraceni facendo il pieno con il sangue della povera gente per le loro auto di lusso e con i vestiti che se li spremevi grondavano sudore del lavoro altrui.

Fedele Scarcella entrò subito nel programma di protezione per i testimoni di giustizia, e la legge antiracket gli rimborsò tutti i danni subiti.
Poi però volevano trasferirlo al nord Italia, come prevede il programma di protezione, ma lui non accettò. Volle restare in Calabria, sia pure trasferendosi in un’altra provincia, quella di Vibo Valentia.
Certo non sarebbero stati quella cinquantina di chilometri da Gioia Tauro a metterlo al sicuro, ma lui non accettava il fatto di darla comunque, in un modo o nell’altro, vinta ai suoi persecutori.
E non solo rimase in Calabria, ma fu tra i fondatori dell’associazione antiracket di Gioia Tauro, nonchè membro dell’associazione “SOS impresa”, che operava nell’ambito della Confesercenti.
No, non era e non voleva essere un eroe, voleva solo essere un testimone, la testimonianza vivente che in Calabria ce la si può fare a non piegarsi ai ricatti della mafia.
Fedele Scarcella sapeva bene di essere un bersaglio, sia per quello che aveva fatto a Gioia Tauro che per la sua attività di divulgatore dell’antimafia, ed aveva chiesto anche, più volte, la concessione del porto d’armi che però la Prefettura gli aveva negato.

Così lo hanno trovato ieri massacrato, bruciato all’interno della sua Punto blu.
Forse sono stati così umani da sparargli alla nuca prima di bruciarlo, o forse l’hanno bruciato mentre era ancora ferito a morte, magari ridendo mentre si contorceva negli ultimi spasimi dell’agonia, prendendosi pure il gusto di chiamare il 112 per avvisarli che c’era puzza di bruciato vicino alla spiaggia di Briatico, che andassero a vedere che forse avevano incendiato una carogna…

Loro ridevano, perchè in fondo era come se anche lo stato (e permettetemi per una volta di scriverlo con la lettera minuscola) avesse partecipato a quel massacro.

Ancora uno di noi, uno dei calabresi fieri ed onesti, è stato ammazzato.
Ancora uno di quelli che combattiamo a mani nude un mostro che ha armi da guerra, killer da imbottire a volontà di cocaina, milioni e milioni di euro per pagarsi quello che vuole.
Qui siamo in guerra, e quelli mandano i soldati in Iraq, in Afghanistan, in Kossovo…
Noi siamo i veri resistenti, i veri partigiani, e moriremo tutti con onore.
O per strada o nei nostri cuori.
Stato assassino, complice della mafia!
Non ti basta che uccidano i tuoi figli migliori, vuoi uccidere anche la speranza in chi resta?
Poveri ragazzi nostri, che volevate lanciare una sfida alla mafia con quello striscione “e adesso ammazzateci tutti!”, e invece rischiate di aver issato la più sinistra delle profezie!

Che tristezza….

Salvato in Calabria

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